leggi precedenti


Politica, le opinioni



Caro Nicola per quanto riguarda PRODI, LA LISTA E GLI ALTRI
Marcos 21-12-2003

Nicola, io credo di essere sulla tua stessa barca, e come te auspico un Ulivo che possa rappresentare finalmente quelle anime di sinistra ora quasi antagoniste, piuttoste che alleate e con un fine comune. Ma la verità è che ha ragione chi lo chiama triciclo, e per di più aggiungerei io, senza ruote. Il manifesto di Prodi è un bel manifesto, condivido tutto, ma siamo al livello di titoli, e non di un programma dettagliato. E' presumibile quindi, che quelle tre componenti: DS, Margherita e PSE, si siano alleate politicamente ( nel senso bieco della parola ) e non per intenti comuni, o per condivisione di metodi e proposte per attuare un programma stabilito. Con l'aggravante di mettere veti senza nemmeno ascoltare gli altri e loro proposte. Prodi dice : " Si farà con ci stà " Ok, ma chi ci stà a cosa ? non c'è un punto del manifesto di Prodi, che non sia condiviso nel titolo, sia da Di Pietro che dai comunisti Italiani, perfino Rifondazione può trovare dei punti di contatto. I punti di contatto, non sono però programmi discussi e approvati da tutte le componenti che dovranno per forza allearsi, se si vorrà vincere la prossima tornata elettorale. Quei tre partiti caro Nicola, hanno commesso un errore enorme. Il mio parere, è che quell'alleanza affrettata serviva per metterli in una posizione di forza contrattuale nei confronti degli altri, poteva anche sembrare un'abile mossa, se tra loro avessero già discusso e coordinato azioni e iniziative comuni, invece, non sanno neanche essi, se potranno in seguito trovarle. Ed alla luce dei fatti di questi giorni, i DS hanno anche spinto la loro ala piu a sinistra," Correntone e Aprile " a staccarsi per avvicinarsi alla gente dei movime! nti e trovare più intesa con Di Pietro, Occhetto e Diliberto, piuttosto che con il loro triunvirato. Il Triciclo è stata una mossa da veri principianti, che spero non venga condivisa da Prodi, e che pur non potendo ora intervenire con la dovuta fermezza per via della sua carica europea, possa in seguito convincere tutti a sedere a quel benedetto tavolo, senza preclusioni ed ascoltando le varie proposte per farne poi una condivisibile da tutti. Solo allora, si potrà dire chi c'e, c'è...e raccomandare l'anima a Dio, perchè senza l'apporto di tutti, difficilmente ce la faremo.
marcos

Donne sotto tutela: fino a quando?
Massimo 19-12-2003

Il tema della fecondazione assistita non è semplice da affrontare, perché si gioca più sulle premesse, che nel merito. Mi spiego. Essere di sinistra, significhi avere una speciale sensibilità per i più deboli, condivisa peraltro da gran parte dei cattolici. Fin qui, nulla questio. Ma ora attenzione al passaggio successivo, praticato con grande disinvoltura da molti addetti ai lavori: in una maternità difficile, chi è il più debole? L'embrione o la futura madre? Se accettiamo questa impostazione, siamo condannati a uscire fuori strada. Infatti, si possono passare nottate intere a disquisire senza approdare a ad una posizione soddisfacente, semplicemente perché il ragionamento è viziato dal peccato originale della premessa. A mio avviso, non si può contrapporre "per principio" l'interesse della madre a quello dell'embrione. Ci sarà il caso in cui sarà prevalente la probabilità di favorire una nuova vita, così come in altre condizioni si dovrà dare priorità alla salute della donna. Quello che è certo, è che non si deve sottovalutare la consapevolezza di una donna che decide di diventare madre, al punto da prevedere dei comportamenti coercitivi in una sfera così intima, quasi si trattasse di esercitare una tutela nei confronti di un soggetto "incapace di intendere e volere". E' questo, per me, il vizio culturale anacronistico di tutta la legge: considerare la libertà di coscienza delle donne, come un rischio sociale da scongiurare. Un pregiudizio solennemente cacciato dalla porta, ma che puntualmente rientra dalle mille sbilenche finestre del paternalismo nostrano.


PRODI, LA LISTA E GLI ALTRI
Nicola 19-12-2003

Se il nostro comune denominatore è davvero l'Ulivo e se questo è l'idea di Prodi, dovremmo forse ascoltare quello che Prodi dice con almeno la stessa attenzione con cui ascoltiamo Di Pietro e Boselli. Non ha alcun senso che lo SDI faccia l'esame di riformismo a partiti e movimenti che vogliono aderire all'Ulivo. Non ha neanche alcun senso identificare la prospettiva ulivista con gli slogan di Di Pietro o con i vaneggiamenti di Occhetto. Di Pietro deve spiegare se la sua battuta sul "triciclo" sia l'ennesimo favore che intende fare a Berlusconi e alla sua macchina mediatica; Boselli ci deve convincere che la partecipazione dello SDI è la conditio sine qua non per vincere le elezioni, gettando via in cambio tutti quelli con cui gli ex craxiani hanno dei conti in sospeso. Prodi, le poche volte che si esprime, dice in proposito cose di ottimo senso. 1) La lista unitaria si fa anche se non tutti ci stanno: si fa con quelli che ci stanno (un "Ulivo a due velocità", realisticamente, secondo la metafora europea). 2) Chi vuole entrare nel progetto e rappresenta una parte del blocco sociale ulivista è benvenuto. Non ¨è serio che un triumvirato di segretari decida della lista unitaria. Sarebbe un suicidio d'immagine, prima ancora che uno squallore politico. La lista unitaria ha bisogno di una pubblica investitura, una "convenzione" con delegati a rappresentare associazioni e partiti, possibilmente astenendosi, per quel giorno almeno, da polemiche fratricide. La lista Di Pietro-Occhetto-girotondi, devo dire, mi pare un'idea ridicola, oltrechè l'esatto contrario della filosofia prodiana. Il progetto ulivista deve avere al centro l'idea di rendere l'Italia un paese serio, consapevole e giusto, ben integrato nell'Europa "ad alta velocità", tutto teso verso il futuro, con un messaggio capace di coinvolgere anche quelli che non voteranno Ulivo, nè alle prossime elezioni, nè mai. L'Ulivo deve essere capace, nel piccolo contesto italiano, di fare quello che Roosvelt riuscì a fare negli anni trenta. Non credo proprio che un contributo a ciò possa venire da una coalizione il cui unico legame pare essere l'indignazione. L'indignazione ha motivo di esistere ed è giusto esprimerla. Mi chiedo, però, se si possa dire agli italiani "votateci perchè siamo indignati".


Laici e cattolici: una guerra infinita?
Manuela 11 dicembre 2003

La crisi del voto parlamentare sulla fecondazione assistita ha messo ancora una volta in evidenza alcuni nodi che dovrebbero essere affrontati in fretta, in una logica della costruzione di un'alternativa di governo alla CdL. Da una parte si affrontano gli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra, e, trasversalmente si affrontano "laici" e "cattolici". Questo provoca un piccolo problema nel centrodestra, un grossissimo problema nel centrosinistra. Di fatto ancora una volta si evidenzia il passo incompiuto della politica dal proporzionale al maggioritario. E' chiaro nelle parole di chi ha meno pudore: "Non si può subire l'egemonia culturale dei ds" (cito a memoria Mancino, le parole non saranno identiche, ma il senso c'è). Ecco, allora, che viene resuscitato il fantasma della competizione all'interno dello stesso schieramento e con questo l'orgoglio identitario che si definisce per opposizione. Lo leggo come un residuo di un modo di far politica vecchio ed autoreferenziale, dove, per affermare la propria identità - in modo proporzionalistico - non si esita a votare contro il proprio schieramento. Invece di ricercare l'integrazione, e quindi l'andare oltre da sé, si è preferito affermare l'orgoglio identitario, che isola e separa.

La politica, isolando e separando, dimostra ancora una volta di essere corpo separato dalla società, che nei decenni è cresciuta e ha saputo lasciarsi alle spalle questo tipo di divisioni. La società ha saputo accettare scelte di laicità (il divorzio, l'aborto) senza traumi e senza integralismi. Laddove convivono coscienze ed etiche individuali diverse fra loro, ma tutte rispettose delle scelte e delle convinzioni di ogni altro. Non si vuole qui mettere di fronte una società "buona" e una politica "cattiva", chè in qualche modo questa deve pure essere lo specchio di quella. E tuttavia, non posso non pensare che ancora una volta la politica sia rimasta parecchi giri indietro (e i suoi rappresentanti si arrogano, fra l'altro, la presunzione di avere una coscienza più pura ed intransigente di quella dei normali cittadini cattolici) dimostrando, ancora una volta, che i riferimenti sono altri (le gerarchie ecclesiastiche? o, ancor di più, quel malinteso senso di orgogliosa identità?) rispetto a quello che dovrebbe esserne il principale: l'elettorato, le sue sensibilità e i suoi valori. L'elettorato che pretenderebbe, invece, di essere rappresentato dalla politica, pena lo scotto di un sempre maggiore astensionismo: non solo nell'aula parlamentare, ma fin da prima, decidendo e votando. Ma la libera espressione dell'elettorato è fortemente temuta da questa politica ancien régime: osteggiate le primarie, impedita la libera espressione degli iscritti nei ds su una cosa fondante come la lista unica, e via di questo passo. Libera espressione che, comunque, la società ha il diritto di riprendersi, esprimendosi, in questo caso specifico, con il referendum abrogativo. Il problema della procreazione assistita è stato preso ad esempio e sbandierato in tutte le occasioni da chi si oppone - e si opponeva già da prima, intendiamoci - alla lista unica: preso a paradigma ed esaltato come il "non possumus" della purezza laica, contrapposta all'integralismo cattolico (par la dimostrazione, basti leggere il trafiletto di Salvi sull'Unità). Dimostrando, se ce ne fosse stato bisogno, che anche i laici, oltre ai cattolici, hanno la coda di paglia. Anche in questo caso, infatti, si usa un fatto occasionale come pretesto per rivendicare identità e separatezze che riportano dritto dritto al proporzionale e rifiutano il processo di integrazione che è stato tanto timidamente adombrato negli ultimi mesi. Personalmente ritengo che allontanarsi ancora una volte dalla logica dell'integrazione per seguire le sirene della purezza dell'identità - e dell'ideologia, che a questo si accompagna - significhi condannarsi ad essere sempre più separati dal corpo vivo della società e a degenerare senza rinnovarsi.


Controcorrente
Enzo 4 dicembre 2003

A proposito della legge Gasparri si può affermare che anche questa volta la casa delle libertà ha ottenuto il risultato di compattare l'opposizione (politica e sociale): tutto bene dunque? Per niente! Ci si compiace, infatti, di una opposizione che, ritrovata l'unità e felice dell'occasione, sale sul palco con le bandiere della difesa della democrazia e della libertà, ma in realtà le cose stanno in modo molto diverso. Parlo del fatto che ancora una volta alla domanda "semplice semplice" - quale sarebbe la vostra proposta se foste al governo? - non c'è che imbarazzo (Angius ieri sera a Porta a porta). Non si può nemmeno affermare che questo è solo un caso, è stato così su tutte le leggi ad personam: grandi battaglie "contro", ma nessuna proposta "per". Il giocare tutto sull'essere "contro" e non sul "per" si sposa, spesso, con la forzatura istituzionale. Allora si tira per la giacca il Presidente, chiedendo, di fatto, di scendere nell'agone politico: il fine giustifica il mezzo! Di questo si tratterebbe se il Presidente invece di decidere nella propria solitudine ascoltasse le pressioni di chi non riesce ad essere in gioco con "proposte per governare". Paradossale che il centro sinistra - che ha fatto del rispetto delle regole un valore - ceda alla tentazione di avere un arbitro di parte. E i girotondi? I sopravissuti della grande stagione del 2002 fanno grandi dichiarazioni, quasi avessero ancora alle spalle i tre milioni di persone di piazza San Giovanni. In realtà non è più così ed in più si portano avanti discorsi mille miglia lontani da quel bisogno di rinnovamento della politica (la richiesta di candidature della società civile e non di cambiamento delle prassi politiche) che si era manifestato al Palavobis, a piazza Navona e, appunto, a San Giovanni. Dunque, tutti assieme non per rinnovare la politica, ma per essere "contro". Contro un mostro che non va combattuto con la credibilità della propria proposta e con un progetto che parli al paese, ma con il conservatorismo (certo! Non avere una proposta alternativa per il governo del sistema televisivo vuol dire essere per la conservazione dell'esistente) e con le spallate. A me tutto questo non piace. Non piace perché, anche se mandassimo a casa Berlusconi (opera necessaria e doverosa), non è per niente vero che avremmo più opportunità, che avremmo un paese forte delle proprie convinzioni e, quindi, capace di lavorare alle grandi sfide che la modernità, e le sue contraddizioni, ci propone: avremo un governo di centro sinistra ostaggio di un ceto politico miope e senza un vero collante. Allora è da questa carenza di collante/identità che dobbiamo ripartire. Il centro sinistra ha bisogno di ridefinirsi, di progettare una idea di Europa e di paese, come ha bisogno di ridefinire la propria cultura politica, a cominciare dai modi di selezione del ceto politico. C'è, quindi, bisogno di profonda innovazione culturale (penso al concetto di responsabilità e di meritocrazia; non è un caso che le migliori intelligenze si impegnino in tutti i campi meno che nella politica); in conclusione, c'è bisogno di futuro: perché i girotondi non si impegnano su queste frontiere piuttosto che chiedere qualche candidatura?