Spigolando il web
Rowena 28/02/2003
Non è la mia. L'ho trovata
su Il Barbiere della Sera. Ma mi è piaciuta tanto nella sua lapidarietà, che mi
è sembrato meritasse un piccolo spazio anche qui.
PERCHE' E MORTO SORDI
di Anonimo
Albertone non è sopravvissutto all'iperealtà di Bananaland
Alberto Sordi è morto perchè tutti i suoi personaggi, tutti i suoi "mostri" (vecchi e nuovi) sono diventati realtà.
Nessun comico avrebbe resistito a tanto.
Mimmolombezzi
Operazione "Corteggiamento"
Massimo Marnetto 27-02-2003
La
piazza è grande e piena d'energia; i partiti di minoranza soffrono un'emorragia
di consenso e sono disidratati da un'opposizione frustrata dalla disparità di
mezzi. La sinistra - soprattutto RC (e a suo modo Di Pietro) - da tempo sta
"investendo" nella piazza, per poter mettere il suo segna-posto elettorale su
una massa enorme di potenziali voti; ma anche i moderati di centro vogliono
uscire dalla loro lunga astinenza. Ma come?... c'è una guerra che sta per
scoppiare e parliamo di voti? Ebbene sì. Temo che anche in questi frangenti,
molti atteggiamenti, adesioni e ditiungo siano intelligibili in chiave
elettorale. Nel quadro di completa disgregzione delle "classi" tradizionali, i
partiti cercano di "riposizionarsi" rispetto alle nuove aggregazioni
"sociologiche" dell'elettorato. Se molti operai votano Forza Italia, qualcosa
vuol pur dire. Ecco, allora, che cavalcare il pacifismo puro e duro, diventa per
molti partiti la possibilità di un nuovo rilancio. La Margherita potrebbe
ritrovare l'antica armonia con la Chiesa delusa da FI; i DS uscire dalla loro
anemia generazionale grazie ai globuli "rossi" dei giovani pacifisti;
Rifondazione - lasciate le 35 ore in soffitta - potrebbe rigenerarsi con i
new-global. Insomma, ce n'è per tutti nel grande bacino dell'arcobaleno. In
questa operazione "corteggiamento", infilare dei ragionamenti sarebbe
semplicemente una follia. Anche perché i ragionamenti sono pieni di "se" e di
"ma", con l'aggiunta per fino di "affinchè" e "fino a quando". Troppo rischioso
per partiti spaventati dallo spettro dell'estinzione; spiazzati dai Girotondi;
incalzati dalla società civile; assediati dalla richiesta di primarie... E
l'Onu? Il terrorismo? La fame? Ne riparleremo quando potremo permettercelo,
pensano, e così non fanno che aggravare la loro crisi, nascondendola dietro a
documenti unitari che durano lo spazio di una notte.
Ulivo aperto, Ulivo nuovo.
ACHILLE OCCHETTO 25-02-2003
La
Costituente è l'unica prospettiva che ci permette davvero di superare i limiti
concorrenziali e autodistruttivi che sono stati propri della cosiddetta politica
delle due gambe e della dannosa giustapposizione di politiche di centro e di
sinistra. La forza ideale e morale dell'Ulivo, a partire dalla originaria
esperienza elettorale del 1996, è consistita nella speranza, coltivata da
milioni di cittadini, di potere non solo superare antiche divisioni della
sinistra tradizionale, ma di aprire una feconda contaminazione ideale e politica
tra le principali correnti del riformismo italiano. Tale speranza è stata
purtroppo contraddetta da una serie di errori che hanno ristretto l'idea
ulivista ad un mero cartello elettorale, privo di una comune identità culturale
di centrosinistra e incapace di esprimere una unitaria rappresentanza
parlamentare. Solo una Convenzione nazionale può trasformare l'attuale alleanza
elettorale in un soggetto politico di coalizione a cui aderiscano, oltre ai
partiti dell'Ulivo, associazioni, movimenti e cittadini non iscritti ai partiti.
Anche questa metodologia, che io sostengo dal momento della svolta, non è più
sufficiente se non viene collocata in una riforma della politica che ritorni a
dare preminenza ai contenuti rispetto alle formule. E' del tutto inutile
continuare a denunciare le ricorrenti divisioni dell'Ulivo sulla guerra come
sulle questioni sociali se non si fa nulla per creare una autentica discussione
di programma e ci si limita in modo del tutto illiberale a criminalizzare chi la
pensa diversamente. Sono profondamente convinto che una comune e articolata
cultura di centrosinistra, alla quale aderiscano differenti ispirazioni
culturali, deve essere animata da una condivisa visione progettuale. Per fare
questo occorre entrare nel nuovo millennio lasciandosi dietro le spalle le
vecchie divisioni del secolo passato. Occorre in primo luogo superare l'antica
antinomia tra libertà e eguaglianza, ripensando le ragioni di un rapporto
fecondo tra libertà e giustizia. Ciò comporta la definizione di una tavola dei
valori dove per libertà si intenda , oltre l'affermazione piena dei diritti
individuali, la realizzazione progettuale di una libertà reale, che rappresenti
una sorta di sintesi in avanti tra le ragioni della democrazia sostanziale e di
quella formale. Naturalmente ciò chiama in causa un programma che si proponga
l'allargamento della sfera dei diritti universali sottratti alla esclusiva
regolazione del mercato. In questa tavola dei valori per giustizia si dovrebbe
intendere, oltre ai temi della legalità in senso stretto, anche l'equità, la
scelta di una giustizia sociale che comporti forme di diritto diseguale per il
sostegno degli handicaps individuali, sociali e ambientali. In sostanza
occorrerebbe abbandonare ogni tentazione di riformismo neoliberista, il che
comporta di mettere, al posto del diritto dominante del mercato, il rispetto dei
diritti come fondamento della regolazione dell'economia. Bisogna smetterla di
declinare il rapporto tra libertà e giustizia in modo retorico e valoriale;
bisogna inverarlo attraverso un programma conseguente, organicamente alternativo
al neoliberismo. Tuttavia anche un simile programma non è realizzabile se non si
presuppone l'idea di un diverso modello di sviluppo, invece di continuare ad
affidare alla sinistra un'opera di mera correzione delle distorsioni più
evidenti delle politiche liberiste. Ma un nuovo modello di sviluppo richiede
l'affermazione di una forte, orgogliosa autonomia dell'Europa, che passa
attraverso la sconfitta delle posizioni neoliberiste che operano all'interno di
una parte della socialdemocrazia europea. Ciò richiede un giudizio chiaro, e non
meramente diplomatico, sulla guerra. Se guardiamo al futuro la guerra non può
essere messa tra parentesi. E' uno snodo di primaria importanza: è infatti del
tutto evidente che si tratta di una guerra per il controllo politico e militare
della globalizzazione e per la riorganizzazione geopolitica di tutta un'area del
mondo. L'ostinazione di Bush non nasce da un capriccio ma dalla effettiva
preoccupazione dei circoli economici dominanti che deriva dalla constatazione
che la globalizzazione finanziaria non si trasforma in crescita globale. Il
mondo sta effettivamente scoppiando: questa è la verità drammatica che sta
dinnanzi a noi. Come si risponde? Ci sono solo due modi: o con il controllo
politico e militare delle disuguaglianze e degli squilibri, oppure incominciando
a ragionare su uno sviluppo diverso, su un diverso uso delle tecnologie, un
progressivo passaggio dalle fonti energetiche non rinnovabili a quelle
rinnovabili. Ma è del tutto evidente che il passaggio dalle tecnologie del
rischio a quelle della salvezza del genere umano e del pianeta richiede una
formidabile volontà progettuale, che non si può esplicare in un paese solo. Qui
sta l'intuizione dei new global che hanno spostato la contestazione a livello
mondiale, dando vita al più alto atto di effettiva globalizzazione democratica.
Ebbene ai riformisti ora spetta di spostare a livello mondiale la capacità di
governo, sui contenuti, ma anche sugli strumenti. Dobbiamo prenderne atto.
Esiste ormai una questione democratica planetaria. In questo contesto il ruolo
dell'Europa consiste nell'impegnarsi a fondo per il multilateralismo, una global
governance democratica, la riforma di tutte le istituzioni internazionali. In
sostanza un'Europa aperta e multietnica ha bisogno della costruzione di un
effettivo Ente Terzo, che abbia la possibilità di decidere autonomamente e di
gestire l'ordine internazionale. E' giunto il momento di discutere apertamente e
sul serio, anche con i nostri amici americani, in che termini, nella nuova fase
del mondo, si deve esplicare la funzione di polizia mondiale su scala
planetaria, invece di evocare i diritti umani solo quando confinano con i propri
interessi geopolitici. Ciascuno dei punti sui quali mi sono soffermato stanno a
dimostrare che è ora di incominciare a discutere su alcune fondamentali idee
forza del nuovo Ulivo. La laicità della cittadinanza, l'apertura della comunità,
la costruzione della pace, l'affermazione della libertà reale, la stessa
costituzionalizzazione dell'Europa:tutto questo fa a pugni con i vecchi partiti
dell'ottocento, per di più trasformati in comitati elettorali intenti solo a
difendere i loro spazi autoreferenziali. No: si rendono necessarie nuove grandi
formazioni politiche a respiro europeo. Qui si colloca la necessità storica,
oggettiva della costruzione del grande Ulivo, aperto ai movimenti e alle
tematiche new global. Un nuovo Ulivo che non nasce dal solito incontro dei
soliti noti che cooptano di volta in volta qualcuno, ma da una vera e propria
Costituente di massa. Per portare in Europa e al servizio dell'Europa una forza
nuova: la sinistra e il centrosinistra del terzo millennio. (fonte:
fondazionedivittorio.it)
Umanizzare le ispezioni
Massimo Marnetto 25-02-2003
La guerra
contro Saddam e la prevedibile disfatta dell'esercito iracheno, sarebbe fuoco
sulla benzina dell'estremismo islamico. Quello stesso estremismo che dirotta
abilmente le diseguaglianze sociali presenti in gran parte delle nazioni arabe
non su chi gode di privilegi, ma verso il "grande satana" straniero. Un bel
metodo per non parlare di democrazia, istruzione, salute, insomma delle
necessità basilari di ogni popolo che voglia affacciarsi ad un futuro di
sviluppo. La povertà - per Saddam e le altre oligarchie orientali - va
narcotizzata con l'odio. Se anche l'occidente lo alimenta con iniziative
avventate, le vere armi di distruzione di massa saranno gli inviati al martirio
che forse abbiamo già in casa. Basterà una predica infuocata e le notizie delle
catastrofi dei fratelli iracheni per togliere la sicura ai kamicaze europei. E
allora? chiede anche Lodes nel precedente intervento. Allora - a mio avviso - si
dovrebbe continuare a tenere sotto pressione Saddam, aumentare il numero degli
ispettori e nel frattempo promuovere iniziative parallele umanitarie. Come a
dire: tanto tempo stanno gli ispettori in Irak, altrettanto vengono aperti per
es. ospedali da campo di Medici senza Frontiere nelle aree urbane e rurali;
avviate vaccinazioni di massa; portate le medicine ai bambini; istruzione ai
giovani, ecc... Solo così passerebbe - a mio avviso - il primo messaggio di
contro-informazione verso i cittadini: la pace porta sollievo, la guerra aumenta
le sofferenze. Solo così l'occidente potrebbe rivelarsi finalmente "umano" e
iniziare a dissolvere - lentamente - le incrostazioni d'odio che da anni si
stanno sovrapponendo negli strati più poveri della popolazione. Ma un intervento
così lungimirante non porta i vantaggi immediati che Bush ha promesso
all'America: non tanto il petrolio, quanto la soddisfazione su scala nazionale
di assistere alla pena di morte dell'intero popolo iracheno accusato - senza
prove - del massacro delle Torri.
guerra e pace
lodes 23/2/2003
Rispetto a tutta la discussione
sull’Irak o, se si vuole, sulla pace e sulla guerra, continuo ad avere mille
dubbi. Poi, oltre ai dubbi vivo con fastidio le discussioni che scivolano sul
terreno dei principi e delle accuse (in un senso o nell’altro) gratuite che
fanno deviare l’attenzione che, invece, è dovuta ai problemi, molto seri, che
sono sul tappeto. Questa premessa per dire che ci sono degli argomenti e dei
problemi che sistematicamente sono ignorati. Per esempio: come si fa a
neutralizzare il pericolo rappresentato da un regime come quello di Saddan in
un’area strategica come quella medio orientale, senza usare il deterrente
dell’uso della forza? Coloro che sono per la pace senza se e senza ma, cosa
propongono per la soluzione del problema quando un dittatore non ottempera alle
deliberazioni dell’ONU? Certo, si deve lavorare politicamente per eliminare
l’humus che alimenta il terrorismo: prima di tutto la questione palestinese. Ma,
anche quando si è arrivati ad un passo dalla pace in Palestina, il regime di
Saddan era forse meno pericoloso? Sbaglio o proprio in quel periodo furono
cacciati gli ispettori dell’Onu? D’altro canto una guerra serve,
realisticamente, a combattere il terrorismo? O, piuttosto, ad alimentarlo? E il
risentimento antiamericano e antioccidenatale tenderebbe ad aumentare o a
diminuire? Sono domande che richiedono risposte articolate e non “slogan”.Poi, a
me pare ovvio che la tragedia della guerra porterà,oltre ai lutti e agli esodi,
anche la frustrazione delle popolazioni arabe che sempre più vivranno sentimenti
di umiliazione, in particolare quelle che non saranno interessate direttamente
dalla guerra (pare una contraddizione ma sono meccanismi psicologici noti).
Anche la lotta al terrorismo, quindi, ne uscirà indebolita, nel senso che invece
di operare per mantenere salda l’alleanza internazionale formatasi dopo
l’attentato alle torri l’amministrazione americana è riuscita nell’impresa di
spaccare tutti gli organismi di decisione multilaterale. D’altro canto la
politica italiana si sta movendo, a mio parere, con un’ottica quanto meno
provinciale. Se da un lato c’è Berlusconi, che nello svolgersi della vicenda ha
detto tutto e il contrario di tutto, dall’altro abbiamo le opposizioni che sono
terrorizzate dalla paura di andare contro “la piazza”, fino a farsi guidare
dallo slogan “no alla guerra senza se e senza ma”. Non ne avevamo bisogno e,
invece, ci siamo infilati sul terreno “ideologico” delle pregiudiziali “etiche”.
Sapendo che questo terreno è nemico giurato della “politica”, che se si cercano
e si vogliono soluzioni politiche ciò è possibile solo se si ha la capacità di
stare al “tavolo della politica internazionale”, aperti al confronto e
disponibili a valutare tutte le soluzioni: anche quella militare. Con le
pregiudiziali etiche non si fanno accordi, non si costruiscono alleanze, non si
fa vincere la politica, ma si da spazio alla “politica imperiale” di chi ha la
forza economica e militare, si indeboliscono (gravemente) gli unici luoghi di
decisioni multilaterale (l’ONU prima di tutto). Io non so come andrà a finire,
ma metto nel conto che l’assemblea dell’ONU possa arrivare ad una nuova
deliberazione che legittimi l’uso della forza. Ovviamente una tale deliberazione
presuppone la rinuncia da parte di Francia e Cina del diritto di veto. A quel
punto sarebbe credibile una posizione che porta alle estreme conseguenze
l’essere contro la guerra? Cioè a disconoscere l’autorità dell’ONU? Dove ci
porterebbe tale posizione? A sostenere che l’ONU è manipolato dagli USA e,
quindi, accusarlo di essere un fatoccio diplomatico? Tutti possiamo immaginare
le conseguenze di una tale scelta. Allora, io credo che questa crisi debba
insegnare al centro sinistra che è giunto il momento di uscire dall’infantilismo
politico per darsi indirizzi di politica estera che non siano solo il “no alla
guerra senza se e senza ma”. Non ho le competenze per specificare i problemi che
il mondo deve affrontare, quello che so, però, è che la complessità dei problemi
e le disuguaglianze del mondo hanno bisogno di politiche autorevoli e che tali
politiche non possono basarsi su pregiudiziali prepolitiche.
Primarie, maggioritario, presidenzialista, uninominale,
proporzionale.....
bfaber 22/02/03
La materia è molto tecnica e
complessa in quanto da essa dipende la qualità di funzionamento di diversi
organismi che concorrono a realizzare e dare sostanza alla forma democratica del
sistema paese. Normalmente è affare dei politici, della loro capacità di
eseguire con efficacia il loro mandato di eletti. L’argomento, però, s’impone
all’attenzione dell’opinione pubblica quando il sistema paese perde posizioni
nel confronto internazionale o quando la sua popolazione avverte difficoltà
nello svolgimento dei propri impegni nella vita quotidiana e o perché in ansia
per il proprio futuro. Se i cittadini partecipano in forme dirette, sottraendo
tempo e denaro agli impegni normali, allora significa l’abbandono dello stato di
attenzione ed il progressivo passaggio ad uno stato di allarme, con conseguente
riduzione del ruolo dei politici eletti e di fiducia sulle loro future azioni.
All’incremento della partecipazione diretta corrisponde un decremento della
delega politica, sia nel corso del tempo che nel contenuto delle azioni,
principalmente agli eletti dell’opposizione ma con conseguenze dirette anche nel
campo della maggioranza. Così abbiamo vissuto le ultime tre legislature con
l’aggravante dell’alternanza inefficace delle opposte forze politiche. Un nuovo
sistema elettorale è necessario per correggere tre conseguenze fatali di quello
attuale nei confronti delle strutture istituzionali: - le limitazioni
dell’accesso alle cariche elettive; - l’impotenza del potere esecutivo nei
diversi livelli di governo per l’invadenza ancora attuale delle forze politiche;
- l’impotenza del potere di controllo delle assemblee degli eletti. A parte
queste conseguenze inevitabili e disastrose, un sistema elettorale sarà nuovo e
democratico in relazione e in proporzione della sua capacità di ricambio degli
eletti.
Necro-pedagogia
Massimo Marnetto 21-02-2003
"Dopo il nostro
intervento in Iraq, molti stati inclini al fondamentalismo capiranno cosa capita
a chi incoraggia il terrorismo". E' questo il senso dell'ultima enciclica di
Bush al mondo ed in sé racchiude la logica perversa della pena di morte:
uccidere il reo, per dare l'esempio. Ma il fatto è che questa impostazione non
funziona e i reati più gravi aumentano, nonostante i ricorrenti "esempi" che le
camere della morte americane s'impegnano a fornire alla popolazione. E questa
miope valutazione si può - purtroppo - riscontrare anche negli interventi armati
internazionali, che invece di risolvere, complicano situazioni già critiche. Ma
i "veri uomini non perdono tempo a capire, a rimuovere le ingiustizie, ad
impostare piani pluriennali di formazione; i veri uomini tirano fuori la colt e
sparano. THE END.
una domanda molto semplice
16/2/03 rowena e lodes
Abbiamo
mandato all'Unità la lettera che segue,ovviamente con scarse probabilità di
vederla pubblicata. Se per caso trovasse udienza, sarebbe un modo per farci
leggere e conoscere presso un ampia platea. Nel merito non abbiamo fatto altro
che cogliere le evidenti contraddizioni che quotidianamente affossano il
dibattito politico. rowena lodes Cara Unità, Morando, l'Unità di ieri: "Morale
della favola: o si decide di fare davvero l'Ulivo, aprendo formalmente un
processo costituente che coinvolga partiti, movimenti, singoli cittadini, o
continueremo a fare regali al centrodestra." Fassino, Direzione DS: "Pensiamo
che la convocazione entro la primavera di un'Assemblea nazionale dell'Ulivo
composta da una platea di eletti - parlamentari e amministratori locali - e da
rappresentanti dei partiti ed esponenti dei movimenti......" Cofferati,
intervista a Repubblica: "E' giunto il momento di avviare subito la discussione
sulla proposta politica del Nuovo Ulivo. Occorre creare subito l'organismo
adatto. Dobbiamo mettere insieme tanti soggetti diversi ." D'Alema, a Cagliari,
9 febbraio: ".Una grande assemblea dell'Ulivo formata da coloro che sono stati
eletti, dai rappresentanti dei movimenti, da personalità Giulio Santagata, in
preparazione della giornata sull'Ulivo di Bologna, 14 febbraio: "- c'e' una
ovvia esigenza di rilanciare il progetto della coalizione, ancora prima che il
programma" Pierluigi Castagnetti, nella stessa occasione: ". L'ambizione è di
strutturare un progetto futuro, vogliamo un progetto nuovo per il Paese." Ma
allora, se tutti vogliono l'Ulivo, perché si limitano a parlarne. E NON LO
FANNO? Manuela Faccani Ravenna Enzo Lodesani Modena Sezione Ulivo Extra Zone
(Sezione on line) www.ulivoselvatico.net
D'Alema a Monza
Solimano 16 febbraio 2003
D’Alema a Monza Il
Teatro Manzoni di Monza è minuscolo rispetto al PalaVobis (oggi PalaMazda) e
piccolo rispetto alla sala del Conservatorio, che sono le mie attuali unità di
misura in fatto di posti al chiuso. In compenso, i sedili sono comodissimi ed
invitano pericolosamente all’abbiocco, se lo spettacolo annoia. E’ in corso una
pluriennale diatriba fra proprietà, gestione, Comune ed altre benemerite
istituzioni: ogni tanto si minaccia la chiusura e la trasformazione in garage,
supermercato, discoteca a scelta. Tale diatriba, più antica della causa Traho
nel Mastro Don Gesualdo, è di palpitante interesse per circa cento cittadini
monzesi; il resto del mondo, felicemente la ignora. In tal loco, per venerdì 14
febbraio alle ore 21, era annunciata una manifestazione politica con la
partecipazione dell’onorevole Massimo D’Alema, Presidente dei Democratici di
Sinistra ed a suo tempo Presidente della defunta Bicamerale. Manifesti stradali,
passaparola telefonici, agende di siti internet pubblicizzavano l’evento. Non lo
faceva, ahimè, il foglio locale, vicino alla Curia ed alla Confindustria sin dai
tempi di Teodolinda. Curioso dell’evento, mi sono accordato con scelti amici.
Scelti nel senso che con loro posso pensare di politica ad alta voce, grato del
consenso e del dissenso. Cosa infrequente, ieri come oggi. Fatto saggio dai
girotondi, alle 20.30 ero di fronte al teatro ad attendere. Ma questo non era un
girotondo. Un gruppone di addetti ai lavori parlottava nell’atrio, in cui un
quintale e mezzo di libri rilegati faceva bella mostra di sé su alcuni tavoli.
Quattro giovani assai graziose attendevano dietro i tavoli improbabili
acquirenti delle scelte opere. Alle 20.45, puntuali, giungevano gli amici.
Seduti nel teatro, non nelle prime file per non esserne scacciati all’arrivo
delle Autorità, attendevamo sereni, denigrando fra noi il dott.Saccà, e lodando
i prezzi delle primule, assai contenuti sia alla GS che alla Coop. Il popolo
lentamente affluiva: alle 21 il teatro era mezzo pieno. L’altro mezzo era vuoto.
Quand’ecco, preceduto di trenta secondi dal sindaco Michele Faglia, ecco il
grand’uomo, accerchiato e seguito da popolo innumere che riempiva il teatro
racconsolando gli organizzatori. L’avevano atteso nell’atrio e similmente si
sarebbero comportati alla fine, salendo sul palcoscenico, sotto il preoccupato
sguardo del pompiere di servizio. Al tavolo, ricoperto di stoffa verde, sedevano
in cinque. Partiamo da sinistra, ovviamente. Il direttore di un locale foglio,
nomato “Domani”, che fornisce a’ cittadini monzesi le notizie che la
disinformatja del foglio curiale e confindustriale maliziosamente oscura.
L’aspetto del direttore faceva pensare ad una buona, anzi ottima nutrizione. Un
Aiace Telamonio quasi omerico. Al suo fianco sedeva il giovine segretario
cittadino dei DS, con l’aria di meglio fico del bigoncio, quale è da tutti (e da
tutte) ritenuto. Un fico un po’ emozionato, in tale serata. Accanto a lui, il
grand’uomo. Poi, il vicesindaco, emozionato pure lui. Infine il segretario
regionale dei DS, fino ad un anno fa sindaco della popolosa Sesto San Giovanni.
Aveva l’aria di uno di Sesto che finalmente la può raccontare ai monzesi. L’alta
statura e la voce cavernosa e cordiale gli avrebbero poi facilitato il compito.
Saggiamente seduti nelle prime file della platea il sindaco di Monza e la
senatrice, più di Vimercate che di Monza, Emanuela di nome e Margherita di
partito. Il tavolo era adornato anche da due bandiere della pace di un metro
quadro l’una, presumibilmente acquistate poco prima nella vicina parrocchia. Per
circa venti minuti si sono susseguiti, come è giusto, gli interventi dei
quattro, conditi ogni tanto di qualche lieve gaffe: il quinto taceva, battendo
ogni tanto le mani in punta di dita, che tracciavano origami nell’aria, in
mancanza di carta, ed attendendo il suo momento, che è iniziato circa alle
21.30. Ed è cambiata la musica. I quattro avevano parlato da seduti, lui si è
levato in piedi e così ha proseguito per oltre un’ora. L’ambiente gli era
favorevole, senza smanie, ma favorevole. Diversi sindaci, assessori, iscritti
trentennali erano confluiti da’ paesi circonvicini. Scarsi i girotondini, che
avevano pensato di dedicare la serata alla famiglia. Minoritari i seguaci
dell’impiegato della Pirelli, che comunque avrebbero nella serata palesato la
loro presenza con certi applausi non in punta di dita, ma a piena palma, quando
il discorso non era fatto di se e di ma. Il grand’uomo era stanco: lo ha
confessato lui stesso, dicendo che era il terzo discorso della giornata. Ma lo
si notava dalla voce, un po’ arrochita, ed anche da certe personalistiche
considerazioni che alle ore 18 forse non avrebbe fatto. Quando si è stanchi, si
tende a parlare di sé stessi. E’ un oratore considerevole, le parole gli
fluiscono mantenendo stringenti i nessi concettuali ed appropriatissima la
forma. Se debbo denotare un difetto, si vede un po’ troppo l’arte che ci mette.
Condivisibili molti argomenti, condotti non con se e con ma, piuttosto per
accrescimento hegeliano della tesi e dell’antitesi. Evita gli sterpeti ed i
burroni, le strade inutilmente a lungo battute ma anche i nuovi ed inesplorati
sentieri che guide azzardose tracciano sul pianeta. La sintesi esce pulita e
lievemente anemica. Pare una decorosa elaborazione di un lutto troppo
prolungato, con l’adozione tardiva di soluzioni osteggiate per anni e che
paradossalmente, ora che non sono osteggiate, mostrano di essere vizze. In
compenso, sta molto lungi dalla bieca faciloneria degli slogan e delle
giaculatorie falsamente unitive, stantie coperte di Linus; ne ha un disgusto
“stilistico”, prima che programmatico. Ha lasciato il segno la polemica condotta
per mesi riguardo il suo atteggiamento troppo condiscendente verso il premier.
Un segno non positivo, perché, convinto non dagli argomenti ma dalla
opportunità, eccede sgradevolmente: nella stessa giornata aveva a Bresso
etichettato di “scalzacani” alcuni ministri, come qualche tempo fa aveva detto
che i giapponesi della RAI debbono uscire “con le mani alzate”. Non ci si crea
un vantaggio, in tal modo: meglio chiamarli CdaSmart e festa finita. Ha
coraggiosamente citato due o tre volte Prodi, ma il nome di Cofferati non l’ha
proferito, gli argomenti sì, lodandoli…con l’aggiunta: “I diritti, sì i
diritti…e i doveri”. Al mattino, aveva fatto pace con i prodiani di Bologna, e
si sentiva perciò ringalluzzito, ma temeva che l’arrivo serale a Bologna
dell’impiegato della Pirelli avrebbe guastato le cose. Difatti, le agenzie della
notte avrebbero riportato le nette e non favorevoli parole di Cofferati. Ogni
tanto, sa essere spiritoso, e se le prepara prima, non ha la bocca troppo larga,
non lascia nulla al caso. “E smettiamola di rottamarci l’un l’altro!”: questa ha
funzionato benissimo. Mentre l’altra, che bisogna agire come una buona squadra
di calcio in cui una ottima ala sinistra crossa al centro invece di andare a
sbattere contro i tabelloni, era un po’ tirata, anche perché al centro
occorrerebbe Vieri… D’Alema sa come si fa a chiamare l’applauso: due o tre volte
l’ha fatto, pagando pegno all’orgoglio di partito, ma l’altra sera ha saputo
chiudere con stile, con un “Grazie!” in re minore che i monzesi, non amanti
delle grida, hanno saputo apprezzare. Sempre meglio di Bruno Vespa e di Maurizio
Costanzo. Tornando verso casa con gli amici, non di D’Alema abbiamo parlato, ma
abbiamo fatto le previsioni sul giorno dopo, il 15 febbraio. Tutte le previsioni
si sono rivelate errate per difetto…e questo è un buon segno. Se anche D’Alema
ne tiene conto, è meglio.
Referendum, si o no? Nì...
Massimo Marnetto
13-02-2003
"Onestamente, ce la facciamo a spostare un terzo degli elettori
del Polo sulle nostre posizioni?" E' questa la condizione che ieri (12 feb) il
Sen. Dalla Chiesa ha immaginato per poter vincere i referendum abrogativi delle
"leggi truffa" (Cirami in primis). "Una battaglia serrata - ha continuato
pessimista il senatore - al massimo porta nello schieramento opposto un decimo
degli elettori". Alla fine del suo intervento, in un affollato magazzino di
antiquariato del centro di Roma, Dalla Chiesa ha rivelato anche un retroscena
non molto noto. "Ricordate la battaglia per la modifica dell'art. 18? Ebbene, è
stata volutamente abbandonata dal centrodestra, perchè se fosse diventata legge,
sarebbe stata oggetto di un referendum molto sentito, al quale i polisti
temevano che venisse abbinato anche qualche altro quesito come la Cirami, per
utilizzare l'effetto trascinamento". Il pessimismo referendario di Dalla Chiesa
stride con le iniziative di Opposizione Civile, che sta mobilitando in tutte le
regioni d'Italia comitati regionali pro-referendum, anche se nella capitale fa
fatica ad aggregare i movimenti e ottiene dai partiti tiepide adesioni.
Dopo i blocchi, il monolite?
Massimo Marnetto 12 - 02 -2003
La
Nato è obsoleta. Concepita per far fronte comune all'espansionismo "rosso", oggi
appare inadeguata a fronteggiare i nuovi rischi d'instabilità mondiale. Infatti,
la realtà odierna non può più essere semplificata e costretta in "blocchi"
contrapposti; una realtà che si è andata trasformando in non pochi casi fino al
punto che i nemici di ieri sono gli alleati di oggi e viceversa. In questo
mutato scenario, l'Europa avverte l'esigenza di rimodulare il mantenimento di
relazioni atlantiche, con un'insopprimibile esigenza di autonomia. Francia
(fuori dalla Nato sin dal '66) e Germania hanno preso l'iniziativa, ma non sarà
semplice svegliare gli altri partner da un torpore gregario che per inerzia e
convenienza perdura dal dopoguerra. Gli USA affermano di sentirsi traditi nel
loro momento di massimo pericolo; è comprensibile, ma è giusto anche che
l'Europa faccia sentire il proprio prestigio nella regolazione delle
controversie internazionali. Se così non accadesse, diverrebbe presto
irreversibile la pericolosa tendenza degli USA - avviata dopo la caduta
dell'impero sovietico - nel riconoscere sempre meno il ruolo di altri
interlocutori nel mantenimento degli equilibri globali. Pertanto, se l'Europa
non si consolida con una propria politica estera, la supremazia statunitense
travolgerà presto anche l'ONU, che ha una sua ragion d'essere solo se gli USA
saranno bilanciati dal Vecchio Continente.
USIP
Massimo Marnetto 10 - 02 -03
"Stati Uniti di Israele e
Palestina": ovvero l'integrazione territoriale e culturale di due popoli uniti
dalla storia e che stanno pagando a caro prezzo una divisione forzata e
impossibile. Utopia? Forse, ma meno di quella perseguita da chi pensa di
risolvere tutto alzando un muro, l'ennesimo che sarà poi fatalmente abbattuto
dalla storia. Mi piacerebbe che anche la politica estera entrasse nella
discussione del nuovo programma dell'Ulivo, con idee forti e ambiziose. Ma ancor
più, se questo piano crescesse fino ad essere la proposta dell'Europa per la
soluzione del conflitto israelo-palestinese.
Carni bianche
Massimo Marnetto 10.02.2003
Cofferati ha
organizzato a Roma (il 7 febbraio) un convegno con la "sua" Fondazione Di
Vittorio e che diventerà un appuntamento fisso mensile a Roma - di venerdì - e a
Milano - di lunedì. Scalfari, Eco, Lerner, e Asor Rosa hanno commentato insieme
a Cofferati da diverse angolazioni la grande "anomalia" nostrana. Tra le varie
cose dette - non tutte clamorose, a dir la verità - mi ha particolarmente
colpito un passaggio di Eco: "La democrazia americana ormai non si fonda tanto
sul principio di rappresentanza (la percentuale di votanti nelgi USA è sempre
più bassa), quanto sulla libera circolazione delle opinioni". In altre parole,
B. sta soffocando la democrazia con l'omologazione delle notizie.
L'informazione-mangime produce opinione pubblica-pollo, poco nutiente per la
società e molto digeribile per il populista di turno.
ART.18 - FALSO PROBLEMA.
Monterosso, 10/02/2003
Sono convinto
che, art.18 sì/art.18 no, sia un falso problema. Che la garanzia, sancita
dall'art.18 a "quasi" tutti i lavoratori dipendenti, sia una cosa giusta, mi
sembra fuori discussione. Ne consegue che sia giusta, anche per tutti quelli che
fino ad ora non ne hanno avuto il diritto. Tutto le altre riflessioni sui
vantaggi e gli svantaggi che il centro sinistra o il centro destra potrebbero
trarre dalla sua vittoria o dalla sua sconfitta, sulle conseguenze e
ripercussioniu sull’economia, sui veri vantaggi delle imprese a carattere
famigliare, sulla sconvenienza del lavoratore ad imporre la propria presenza là
dove non è desiderato, sono chiacchere fatte sulla pelle di coloro che quel
diritto non ce l'hanno. Il vero problema non è dare o non dare un diritto, il
vero problema è stabilire quando e perché tale diritto debba entrare in
applicazione, sia a difesa di un lavoratore che stà subendo un’abuso, sia a
difesa del datore di lavoro e della sua impresa che stia subendo un danno
derivato dalla presenza di un dato lavoratore. In sostanza la discussione
politica e sindacale deve essere spostata sul significato di “giusta causa di
licenziamento e sue modalità di applicazione”. E’ su questo terreno che, l'area
politica e sindacale veramente progressista, potrebbe spendersi, ingaggiando una
battaglia onesta , coraggiosa e innovativa Che poi il referendum verrà perso
dall'art.18, questo è fuori discussione, come potrebbe vincere con uno
schieramento così "per bene" e così trasversale? Si trascura però il fatto che
la sconfitta di questo referendum rappresenterà una delegittimazione
dell'impianto dell'art.18 nel suo complesso, sarà l'occasione per la destra di
affermare che gli italiani l'art.18 non lo vogliono, verrà strumentalizzata
l'affermaziome che, se la presenza un dipendente fa dei danni in una piccola
impresa li fa anche peggio nell'industria, con l'unica differenza che il danno
all'economia del paese risulta meno visibile, ma non maggiormente giustificato.
Ovvia, banale e scontata affermazione dico io, ma se noi progressisti non ce ne
impadroniremo prima della destra, governando poi il confronto sulla "giusta
causa", quella sarà davvero un'altra occasione persa ed una ennesima sconfitta,
sulla quale riflettere e litigare sugli sbagli gli uni degli altri. E' la
classica, e già vista situazione, nella quale il centro sinistra vuole apparire
più bravo del centrodestra. Come già successo, andiamo a giocare fuori casa,
nella privazione dei diritti, e poi ci ritroviamo perdenti, invischiati in una
riforma della piccola impresa, fonte elettorale del centro destra, a leccarci le
ferite ed a contare milioni di voti di un SI’ di sinistra perdente, e milioni di
voti di un NO di centro vincente. Un centro-sinistra che come sempre perde sia
da sinistra che dal centro. La quota di sinistra, dopo aver perso il referendum,
perde anche la fiducia nell'Ulivo e va ad ingrossare le fila della tanto
vituperata rifondazione, o peggio ad aumentare il numero degli sfiduciati
qualunquisti, esasperati e disperati. La quota di centro invece si affretta a
diventare di centro-destra, nel tentativo di garantirsi il diritto a licenziare
senza se e senza ma, anche nella nuova riforma delle piccole imprese. Ed allora
dove stà la giusta posizione del popolo della sinistra innovatrice e riformista?
come sempre dalla parte meno ovvia e meno comoda, opposta alla conservazione ed
ella reazione, dalla parte del vecchio e mai scontato, sano anticonformismo.
Monterosso.
Che fare
Rowena, 09/02/2003
Sebbene la scena politica sia
implacabilmente occupata dall’attesa di una guerra incombente, che finisce per
mettere tutto il resto in secondo piano, si sente sempre più spesso circolare,
in politica interna, la parola “Ulivo”.
Una specie di urgenza, dettata sicuramente da scadenze elettorali ravvicinate, ma anche dal bisogno di riprendere le fila di un’opposizione sfilacciatasi in troppe risse, messa sotto pressione dai movimenti della società civile, quasi frastornata dalle molte domande e dall’incapacità di trovare risposte coerenti ed esaurienti. Diverse, a volte opposte idee di Ulivo si incontrano e si scontrano, un Ulivo variamente aggettivato (“nuovo”, “grande”, “stretto”, ecc.).
Fassino sul Corriere chiede un’assemblea di eletti, partiti e movimenti, per la fondazione del Nuovo Ulivo. Cofferati lancia un tavolo programmatico fra rappresentanti di partiti e movimenti, quale atto fondante del Nuovo Ulivo. I rappresentanti di Opposizione Civile (Veltri, Sylos Labini) chiedono dalle pagine dell’Unità una Costituente del Nuovo Ulivo. Il 14, a Bologna, tutti i massimi esponenti dei partiti del centrosinistra si troveranno per una giornata di commemorazione/rilancio (speriamo sia un battesimo, non un funerale!), dell’Ulivo. Il 20, sempre a Bologna (è evidente che le amministrative saranno qui un test per tutti), Opposizione Civile convoca un’assemblea regionale di tutti i movimenti per una Costituente del Nuovo Ulivo (testimonial, ancora una volta, Cofferati).
In tutto ciò che ruolo vogliono giocare i Comitati per l’Ulivo e il costituendo Movimento dei Cittadini per l’Ulivo, in attesa dell’assemblea di fine marzo? Credo che non si possa assistere passivamente a tutto quanto accade, senza far pesare una storia ed un impegno ulivista a tutto tondo, a prescindere da aggettivazioni e da rappresentanze.
Il Movimento dei Cittadini per l’Ulivo dovrebbe, a mio parere, chiedere con molta forza a tutti, partiti, movimenti, associazioni e quant’altri si stiano oggi muovendo per ridefinire il profilo di un soggetto politico unitario e coeso, di accogliere i suoi temi fondanti e di misurarsi su questi:
- Costituente dell’Ulivo, composta da rappresentanti dei partiti, dei movimenti, delle associazioni e comitati di base, che sancisca l’atto di nascita del soggetto politico Ulivo, stabilendo percorsi e tempi per la definizione di strutture, regole e programmi;
- adesione diretta all’Ulivo;
- adozione delle primarie come modalità di scelta dei candidati.
Anche Suez, pur nelle secche e nelle difficoltà di una sua ridefinizione, dovrebbe, a mio parere, ritrovare in questi temi le ragioni della sua mission, che è produrre inziativa politica. E su questi temi produrre documenti su cui chiamare tutti - partiti, movimenti, singole personalità – a confrontarsi. E la mia opinione. Da mettere a confronto con le vostre.
Un po' più di 30 righe
Polanna, 07/02/2003
Vi sottopongo alcuni
spunti provenienti dalla mia sensibilità ecologista-ambientalista-animalista che
mi sembrerebbero utili per cominciare a cambiare qualcosa. -
1) Criticare la globalizzazione significa mettere prima di tutto in discussione un modello di sviluppo che è misurato solo in termini di ricchezza economica diretta (PIL) e non considera i fattori ambientali nè la qualità della vita come elementi in gioco nel processo di costruzione sociale ed economica dell’evoluzione della civilta’. Sul pianeta ci sono già oltre 6 miliardi di esseri umani: come farli vivere tutti in maniera equa e dignitosa senza distruggere i sistemi naturali dai quali traiamo le risorse e senza oltrepassare la capacità di questi sistemi di assorbire gli scarti e i rifiuti delle nostre attività produttive? Come soddisfare i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro? Questo è un tema centrale per una società globalizzata :non è più possibile perseguire una crescita economica ad libitum perche proprio l'erosione, la distruzione e l'inquinamento dei sistemi naturali e proprio l'aggravamento delle differenze sociali ed economiche tra ricchi e poveri del pianeta ne costituiscono un limite..
C' è quindi bisogno un un grosso cambiamento culturale rispetto ai nostri vecchi ed obsoleti modi di concepire i sistemi economici, quelli sociali e quelli naturali. C’è bisogno di mettere la qualità della vita di tutti gli esseri viventi, uomini, animali e piante a dare significato ai concetti di CIVILTA’ e BENESSERE e non la concezione puramente quantitativa che oggi li sostanzia. Per fare ciò prima di tutto bisogna comiciare a pensare a definire modelli di sviluppo diversi.
Che fare? Non so. Certo è che la globalizzazione è indifferente ai caratteri delle culture, delle società e delle economie locali così come lo sviluppo moderno dell'occidente è stato sostanzialmente indifferente ai caratteri dell'ambiente come se l'ambiente e il territorio fossero giusto lì per collocarvi a piacimento fabbriche, case,infrastrutture senza vincoli di sorta. E' relativamente da poco tempo( e ancora scarsamente se ne tiene conto ) che si è coniato il concetto di "sostenibilità" (capacità di carico degli ecosistemi che sostengono la qualità della vita) rispetto all'ambiente. Mentre i caratteri dell'ambiente sono di per se stessi e per effetto dell'azione dell'uomo in continua evoluzione e modificazione, per cui il modo con cui ci si rapporta ad essi attraverso l'organizzazione sociale, economica, istituzionale e tecnologica incidono sui suoi "caratteri naturali". Dunque, pensare a modelli di sviluppo diversi pone anche la necessità di ricostituire il legame tra sviluppo economico-sociale e ambientale proprio a partire dalle caratteristiche dell'economia, della società e dell'ambiente locale. L'ambiente perciò non può più essere considerato un settore specifico delle politiche pubbliche, ma come "la dimensione" che attraversa tutte le politiche, come cioè il punto di vista a partire dal quale osservare, valutare e orientare l'intero arco delle azioni pubbliche e perchè no anche private. Forse sbaglio, ma penso che cominciassimo a impostare e valutare i problemi dal suddetto punto di vista, rivoluzioneremmo proprio il modello di sviluppo.
Solo un piccolo esempio, l'alimentazione di qualità. Mangiare biologico,prodotti naturali provenienti da agricoltura biodimamica o anche semplicemente prodotti caratteristici locali, oltre preservare la salute (con tutto ciò che comporta in termini di risparmio quindi di medicine, degenze ospedaliere ecc. ecc.), comporta coltivare il terreno in modo naturale (niente chimico), salvaguardandolo dall'usura e mantenendolo quindi vivo e riutilizzabile. Consumare prodotti di stagione (niente ciliege di gennaio ecc. ecc.) e possibilmente prodotti in località vicine ai luoghi di vendita (le sostanze nutritive calano se il consumo è lontano dalla raccolta) diminuisce le necessità di trasporto e quindi meno inquinamento, meno traffico, minori costi, meno imballaggi, meno rifiuti, meno PETROLIO. E poi niente merendine, patatine e troiai del genere.Un cambiamento radicale dei consumi che migliora nel contempo la qualità della vita e impone un nuovo modello culturale di produzione. Impostare le questioni di termini di salvaguardia e tutela dell'ambiente riconduce necessariamente alla valorizzazione del locale. E l'Ente locale diventa fondamentale e la partecipazione dei cittadini alle scelte praticabile e semplificata.E il bilancio partecipativo comincia ad avere una sostanza reale.Pensare ad una democrazia dal basso, comporta dare ai cittadini reale potere sul dove, come e cosa produrre, altrimenti sono solo "consumatori". Sogno? Forse.La politica è l'arte del possibile, ma se non c'è un disegno utopico a cui tendere, diventa solo........quello che è attualmente.
Corrispondenze
Massimo Marnetto 7-2-2003
Ecco il botta e
risposto tra me e Ceccanti sull'intervento di Sartori.
Caro Marnetto, mi
stupisce che tu non ti accorga che l'intervento di Sartori, sostenendo che non
si deve indicare il Premier prima delle elezioni e che si deve adottare il
sistema proporzionale tedesco, elimina del tutto l'esistenza dell'Ulivo.
Esistono solo i singoli partiti che si alleano tra di loro come entità
indipendenti.
Se condividi Sartori dovresti chiudere Suez.
S.
Ceccanti
Caro Stefano,
come corri!
Segnalare il sito dove si
può consultare l'intervento di Sartori (molti di Suez non sono di Roma e la
stampa ne ha riportato solo una sintesi) non significa condividerlo pienamente,
ma indicare una fonte dalla quale acquisire altri elementi di
valutazione.
Nel merito, ci sono interi passaggi della sua esposizione
che non mi convincono, come analisi che condivido in pieno; ma penso che aderire
o rifiutare in toto una tesi sia per me una eventualità estrema.
Circa
l'Ulivo, ne sono talmente convinto, che - se fosse possibile - spererei
diventasse un unico partito.
A questo proposito, ti anticipo l'emendamento di
Suez al punto 3 del Manifesto dei cittadini per l'Ulivo (Chiaciano...).
"E'
necessaria la formazione de l'Ulivo come soggetto politico unitario, costituito
dai partiti, dagli eletti e dalle realtà associative, per ottenere quel salto di
qualità di cui la società italiana ha bisogno al fine di dare compiutezza al
bipolarismo e alla riforma del sistema politico".
A presto
Massimo
(Marnetto)
Scusa Massimo,
ma io non mi riferivo ad un'analisi
dettagliata del testo Sartori (per bilanciamento ti prego di linkare anche la
mia relazione sul Premierato, opposta a Sartori, che trovi a
www.spbo.unibo.it/pais/ceccanti nella parte materiali didattici; nel sito c'è
anche altra roba che ti interessa) ma a un dato politico che dovreste segnalare,
oltre a invitare ciascuno a leggere. Lì l'Ulivo è escluso: questo trascende le
questioni tecniche, è un dato politico pesante che deve essere rilevato
subito.
Stef
Caro Stefano,
concordo con te che l'esclusione
dell'Ulivo sia implicita nell'apologia del proporzionalismo che Sartori formula,
ancorché corretto dalla soglia di sbarramento alla tedesca.
Se però torno
alla rappresentazione del sistema inglese (e americano) - dove Sartori
sottolinea la presenza di due soli partiti - mi viene in mente la situazione
incompiuta dell'Italia, dove la CDL ha già raggiunto la consistenza "di fatto"
del soggetto unico, mentre nel cs si afferma l'unità, ma si cova un
proporzionalismo endemico (temo che alle europee ne vedremo delle
belle...)
Quindi un Sartori schizofrenico? Che prima nega l'Ulivo immaginando
il modello proporzionale tedesco per poi evocarlo indirettamente con la
celebrazione del bipartitismo compiuto, possibile da noi solo se l'Ulivo si
addensa?
Entrambe le interpretazioni le vedo francamente come
forzature.
Tutto questo per dire che ascolto Sartori come studioso di
istituzioni, ma non ne traggo automatiche conclusioni politiche.
Quindi, gli
sono debitore per gli ottimi "modelli di studio" presentati, che però non
considero risolutivi, ma solo spunti di un approfondimento politico molto
complesso.
Ti ringrazio per l'indicazione del tuo materiale, che sarà
sicuramente linkato al più presto sul nostro sito.
A presto Massimo