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La politica del contrappasso
Rowena, 31/03/2003
Non riesco a
capacitarmi di come possa esserci un dubbio – eppure tale dubbio attraversa la
sinistra, o almeno una parte di essa – sul fatto se sia preferibile una guerra
lunga o breve.
Innanzi tutto per la ragione, prepolitica, che una guerra
breve produce meno morti, meno miserie, meno disastri di una guerra lunga. Poi
perché più la guerra si prolunga più si destabilizza il quadro internazionale,
con grave rischio di tutti, più le posizioni si radicalizzano e prendono spazio
gli integralismi di ogni genere; meno possibilità sono lasciate, nel contempo,
al lavoro di ricucitura della diplomazia, per la gestione del dopoguerra. Infine
perchè dietro questo dubbio affiorano motivazioni direi quasi ancestrali, da
infanzia del mondo: una “quasi” speranza – sottaciuta, poiché esplicitamente
impresentabile – in una rinnovata vittoria di Davide contro Golia. Senza pensare
che in questo caso Davide non è un inerme, candido fanciullo, ma un sanguinario
dittatore che rischierebbe – in caso di vittoria o anche solo di stallo a tempo
indeterminato della guerra – di venire considerato leader del mondo arabo,
inviato di Allah e difensore dei popoli oppressi dall’”imperialismo
occidentale”. Un risultato auspicabile, foriero di mirabili sorti e progressive
per tutta l’area mediorientale! Con buona pace del mondo arabo laico, più
moderato e meno integralista.
Ci trovo, anche, nel dubbio di cui si parlava,
un’interpretazione – sempre sottotraccia, s’intende – altrettanto primitiva
della storia come faida ininterrotta, in cui quello che viene dopo è effetto e
punizione per ciò che è successo prima; per cui, alla fine, si paghino, nel
deserto, il Vietnam, il Cile, la globalizzazione selvaggia e chi più ne ha più
ne metta, in un calderone in cui prevale sempre e comunque l’ancoraggio al
passato, le cui offese devono esser lavate. Quasi una legge del contrappasso
che, se fa grande un poeta medioevale, è intollerabile in una visione politica
moderna.
Una visione più adatta ad una “guerra delle pigne” o ad un torneo
fra scapoli e ammogliati, che ad affrontare la gravità della situazione in cui
ci troviamo; laddove alla dissennata politica di Bush (che le sue stesse truppe
rischiano di pagare a caro prezzo, non scordiamolo) andrebbe opposto non un
petulante – inespresso, sottaciuto, ma quasi compiaciuto – “vi sta bene”, ma una
ragionata ritessitura di rapporti internazionali. Ciò che gente più saggia, di
destra e di sinistra, - e penso a Prodi, Chirac, Blair , per intenderci – si sta
accingendo a fare.
Se poi tale dubbio viene utilizzato per differenziare ed
aprire la strada ad una sedicente “nuova” sinistra, o addirittura per una faida
interna ad un partito, allora si tratta di un’operazione provinciale e di
bassissimo profilo sul piano politico, inaccettabile e davvero cinica sul piano
morale.
La prepolitica, signora mia...
Solimano 26 marzo 2003
Lo ricordo
come se ce l'avessi davanti oggi, D'Alema, sempre lui. Gli avevano chiesto di
Prodi, e lui storse il baffo, corrugò i labbruzzi e disse: "E' un po'...un
po'...prepolitico!"
A forza di politica alla D'Alema, stiamo
riscoprendo tutti il prepolitico. Siamo portatori sani di prepolitico. Che poi,
se vogliamo dirla tutta, ci danno del prepolitico perchè si ritengono educati.
In realtà pensano qualunquista, ingenuo, rompicoglioni, uno che non ha
capito e via andare.
Il fatto che, ha forza di politica ci hanno
ridotto in brache di tela, di questo no, non se ne accorgono.
Già il termine
è qualificante: prepolitica è come un Introibo, un pianerottolo, uno
stanzino d'attesa (dal dentista), un antipasto della casa alla pensione Peppina
di Igea Marina.
Io ci ho provato, a parlare e scrivere come un politico,
anzi, come un post-prepolitico. Dà la stessa sensazione di quando corteggi una
ragazza che in fondo non ti piace: un gran male alle guance per i sorrisi tirati
e per le troppe parole (sempre quelle, in una coazione a ripetere). Fatti,
pochi.
Non credo proprio che ci dobbiamo sforzare a fare una parte che non è
la nostra: sono loro che debbono cambiare, non noi. E non dobbiamo stancarci di
dirglielo. Con parole mooolto prepolitiche.
Saluti selvatici
Solimano
Americani anti-americani?
Nando 26 marzo 2003 ore
14:15
Americani anti-americani? (Nando) A chiunque manifesti per la
pace o semplicemente critichi la stategia e l'operato dell'amministrazione Bush
viene rivolta l'accusa di anti-americanesimo. A farlo sono anche soggetti che
anni fa bruciavano le bandiere USA nelle manifestazioni contro la guerra nel
Vietnam. Ho partecipato a varie manifestazioni in questi giorni, ma non ho mai
visto bruciare bandiere americane. Forse quei signori, che certamente non sono
scesi in piazza a verificare di persona, si sono confusi con servizi provenienti
dai paesi arabi. Li certamente bandiere americane sono state bruciate, anche nei
paesi arabi moderati. Brillante risultato ottenuto dalla lungimirante politica
dell'amministrazione Bush. Forse i nostri commentatori a libro paga
considererebbero anti-americani anche i dimostranti americani. Mia figlia, che
risiede in Germania, ha inviato una mail ad amiche americane negli USA rivolgendo loro
alcune domande . Interessanti le loro risposte . Interessante soprattutto notare alcune
similitudini nei comportamenti delle autorità e di alcuni media di almeno tre
paesi: USA Italia Israele Chiunque (interno o esterno) critichi l'operato dei
governi viene tacciato di essere anti (anti americano, antiitaliano,
antisemita). Con una chiara identificazione tra uno (o pochi) e il tutto, tipica
dei totalitarismi e dei fondamentalismi, non certo delle democrazie. Siamo forse
alla globalizzazione del fascismo?
Cura disintossicante
Massimo Marnetto 24-03-2003
Disorientamento
e tono dimesso: questi i tratti che hanno caratterizzato l’Assemblea Nazionale
dei Comitati del 22 marzo scorso a Roma.
La sensazione, fin dalle prime
battute, è stata quella di assolvere ad una formalità, più che dare impulso ad
un processo reale di allargamento dell’Ulivo. Impressione, questa, per altro
avvertita fin dalla vigilia da molti Comitati, tant’è che la presenza in sala
non ha superato le 150-200 persone.
Se il buon giorno si vede dal mattino,
c’è da aspettarsi che anche le assemblee provinciali verranno fortemente
ridimensionate rispetto alla loro funzione iniziale. Intanto, perché non si
voteranno più i 4.000 delegati da inviare nell’Assemblea nazionale del 13 Aprile
(per fortuna); ma poi perché forse qualche illuminato politico del Coordinamento
dell’Ulivo avrà forse capito quello che in molti andiamo dicendo da quando è
stato reso noto il Documento, ovvero che in due settimane non si possono
contattare e convincere a collaborare tutti i movimenti operanti sul
territorio.
Ma nonostante tutto, almeno il Manifesto è stato approvato con
gli emendamenti che il “comitato di redazione” del COP aveva ritenuto di
accogliere. Gli emendamenti non inseriti, invece, sono stati tutti votati , ma
nessuno è passato (neanche quelli di Suez).
Il COP, infine, è stato prorogato
fino a quando si svolgerà l’assemblea costitutiva dei Comitati, che potrebbe
tenersi nel mese di Giugno o persino il 12 Aprile se la data del 13 dovesse
saltare.
In conclusione, spero che questa vicenda ci abbia fatto
comprendere che – come Comitati - non dovremo più aderire a processi calati
dall’alto, neanche se fossero estremamente “promettenti”
. Solo così potremo
salvaguardare la “pari dignità” e l’ “autonomia” che abbiamo sempre rivendicato
come elementi costitutivi del nostro modo di esprimere l’impegno politico.
Sulla guerra, tentando di riflettere
Rowena, 23/03/2003
Poiché
anche noi subiamo bombardamenti – fortunatamente incruenti – di parole e
immagini, e si ha l’impressione di un polverone (tempesta di sabbia?) che
scatenando più che altro emozioni oscuri di fatto la percezione di quanto sta
avvenendo, cerco di fare ordine nei miei pensieri, separandoli, appunto, dalle
emozioni, per confrontarli con quelli di altri.
Gli USA e i loro alleati si
sono lanciati in una guerra al di fuori – e al di sopra delle istituzioni e
delle regole internazionali. Sono personalmente sempre esitante di fronte a
schematismi del tipo “una guerra per il petrolio”; pur non negando che vi
possano essere dietro alla politica di Bush anche interessi di questo tipo,
ritengo che il fattore scatenante sia una reazione psicologica da impotenza. Di
fronte alla “dichiarazione di guerra” del terrorismo – che naviga del tutto al
di fuori degli schemi classici della guerra, non avendo Stato, né
rappresentanti, né “dichiarazioni” – si è reagito pavlovianamente nel solo modo
che si conosce: una guerra, tutto sommato, tradizionale.
A questo punto
potrebbero esserci due ipotesi.
La guerra tradizionale, grazie ad uno
straordinario spiegamento di forze, riesce in poco tempo ad ottenere quello che
si prefigge – la sconfitta di Saddam e l’instaurazione di un regime più o meno
democratico, “amico”. E a questo punto si potrà prevedere una fase in cui gli
USA riaffermano la propria supremazia mondiale. Poco credo alle dichiarazioni
secondo cui il dopoguerra dovrebbe essere gestito dall’ONU. In questo scenario
l’ONU e quella parte di Europa che ha tentato strenuamente di scongiurare il
conflitto sono di fatto espropriati di poteri, ed avrebbero davanti a sé un
lungo cammino di ridefinizione di se stessi e del proprio ruolo. Cammino reso
ancora più difficile dall’assenza di una comune politica estera
europea.
Oppure la guerra tradizionale, pure vittoriosa formalmente, dimostra
di non essere la risposta adeguata all’attacco che è stato portato agli USA e,
indirettamente, per dir così (semplicisticamente), all’Occidente. E in questo
scenario, ci si può aspettare un lungo periodo di instabilità, in cui i
conflitti si riacuiscono e in cui la sconfitta di una nazione non fa che
spostare un po’ pi in là il problema, in una deriva di cui è difficile
immaginare la conclusione.
In mezzo a tutto questo sta il peso dell’opinione
pubblica, praticamente spezzata a metà tra chi condivide le scelte degli USA e
alleati e chi le contesta.
Nonostante le ondate di queste settimane, non
scambierei il movimento per la pace per “tutta” l’opinione pubblica e forse
nemmeno per la parte prevalente. Tuttavia, che il fenomeno sia significativo e
si sia espresso in questa occasione con molta più decisione che nel recente
passato, è un fatto di cui non si può non tener conto.
Un fenomeno anch’esso
destinato a ripensarsi a seconda degli esiti della guerra. Nel primo scenario,
si dovrà fare i conti con la necessità di abbandonare prese di posizione
ideologiche e/o moralistiche, per diventare, politicamente, “costruttori di
pace”; nel senso di contribuire a ri/creare scenari, europei ed internazionali,
favorevoli al confronto e alla mediazione e ripensare le istituzioni
internazionali e il loro ruolo, secondo modalità nuove, più autorevoli e
condivise (a cominciare dalla politica europea).
Nel secondo caso temo che
prevarranno radicalizzazioni entro le quali gli spazi per la costruzione di
azioni positive saranno sempre più ristretti.
Non sappiamo come le cose
andranno a finire; segnali confusi pervengono sia in un senso che nell’altro. E,
in entrambi i casi, non sarà né facile né breve ridare un senso e un ruolo alle
istituzioni internazionali, per il vulnus cui sono state sottoposte in questi
mesi.
In ogni caso penso che questo stretto sentiero sia il solo
percorribile; e che il movimento per la pace dovrebbe darsi come obiettivo di
battere ed allargare. Pena, da un lato, essere costretti ad accettare che una
potenza mondiale – oggi gli USA, ma domani? – si arroghi il diritto di agire
fuori e sopra il controllo internazionale. O, dall’altro, rinunciare ad agire
contro un terrorismo che stravolge non solo le regole, ma la sostanza stessa di
una possibile convivenza, E di accontentarsi, in entrambi i casi, di una
continua protesta, incapace di progettare concretamente il futuro.
Tempo per crescere
Massimo Marnetto 20 marzo 2003
Adesione
progressiva: questa – a mio avviso – è la soluzione per poter coinvolgere
nell’Ulivo parti sempre più importanti di società civile.
Si parte con chi ci
sta. Ovvero, con chi si riconosce nel Manifesto (appena sarà approvato). Poi, si
costituisce un albo, nel quale via via registrare le associazioni che
successivamente dovessero aggiungersi, giusto per dare un minimo di certezza.
Questa modalità darebbe ad ogni associazione il tempo necessario per poter
avvicinarsi al progetto dell’Ulivo, senza le scadenze incredibili che avevano
inizialmente fissato i partiti della Coalizione.
Come? Lavorando insieme sul
territorio. A questo serve infatti il Coordinamento di Collegio, che riproduce
in scala territoriale la conformazione dell’Ulivo dei partiti, degli eletti e
della società civile.
E i movimenti? I girotondi?
Hanno un’altra
funzione, sono volutamente destrutturati e soprattutto una base trasversale non
censibile (molti di noi hanno partecipato ai girotondi), sicché è improprio
tentare di portarli in un soggetto politico, benché eterogeneo come l’Ulivo.
Moretti, Ginsborg ed altri promotori devono essere ascoltati dai partiti,
non per tentare un impossibile inglobamento, ma per avere uno scambio di idee
che favorisca il massimo di convergenza tra difesa dei diritti e proposta
politica.
A proposito di referendum
graziella 19 marzo 2003
Vi lascio il
documento del Labdem a proposito del referendum. .....lunedì scorso si è tenuta
un'assemblea del Laboratorio dedicata a trattare due punti all'o.d.g.: la nostra
posizione in merito al referendum sull'art. 18 e le 10 tesi elaborate dal gruppo
Democrazia, Giustizia e Libertà (sottogruppo principi istituzionali). Diciamo
subito, per quelli di voi che non c'erano, che quasi tutto il nostro tempo è
stato, per volere comune, dedicato al primo punto, decidendo di rinviare il
secondo alla prossima assemblea. Come è ben noto, il tema del Referendum è
oggettivamente un argomento difficile da affrontare, perché, come è stato detto,
è un tema che non unisce ma divide la sinistra. E tuttavia, poiché eravamo stati
sollecitati a esprimerci in merito da uno dei nostri interlocutori fiorentini, e
cioè il Social Forum di Firenze, che ci aveva inviato una lettera il 23
febbraio, abbiamo ritenuto giusto affrontarlo. Lo abbiamo fatto nel corso di due
riunioni di comitato e quindi in un'assemblea, che abbiamo considerato il luogo
più idoneo al confronto e al dibattito. L' assemblea, nella quale sono state
espresse posizioni anche diverse, non ha registrato alcuna "scissione" o
"lacerazione", ma un confronto pacato e rispettoso. Questo confronto si è
concluso con una votazione che a maggioranza ha espresso la volontà di rendere
pubblica la posizione del Laboratorio a favore del sì. Abbiamo sempre saputo che
nel Laboratorio lavorano insieme persone con posizioni diverse e lo abbiamo
sempre considerato una ricchezza; questo referendum ha rappresentato forse la
prima occasione per verificare la nostra capacità di confrontarci senza mai
perdere il rispetto dell'altro e accettando alla fine l'opinione che la
maggioranza avrebbe espresso. Non possiamo non constatare, con soddisfazione,
che l'andamento della discussione ha pienamente dimostrato che abbiamo questa
capacità. Tutti gli interventi hanno concordato sull'insufficienza dello
strumento del referendum nell'affrontare una tematica ampia e varia come quella
dei diritti nel mondo del lavoro, e molti hanno lamentato il fatto che tutte le
forme di nuovo e vecchio precariato, flessibilità, assenza di garanzie
contrattuali siano rimaste comunque ignorate dal confronto referendario. Molti
si sono anche espressi sulla non opportunità di introdurre, in questo momento,
un elemento che può, come dicevamo, dividere la sinistra e indebolire un ampio
schieramento antiberlusconiano. Pur condividendo tutto questo, altri hanno
invece invitato a fare i conti con un dato inequivocabile, e cioè che questo
referendum c'è, esiste, e che non ci sono certo gli spazi per procedere con
quella che per tutti noi sarebbe la soluzione di gran lunga preferibile, ovvero
provvedimenti legislativi in materia. Si è ribadito inoltre che il Laboratorio,
nato con il duplice obiettivo di difendere la democrazia in pericolo ma anche di
accrescere la democrazia stessa, occupandosi in particolare del tema dei
diritti, non poteva non esprimersi su un provvedimento che estende ad altre
categorie di lavoratori quello che oggi vale solo per alcuni. Infine, se da una
parte si sottolineava che questo Referendum, pur nella sua parzialità,
rappresenta comunque una risposta alle scandalose politiche del lavoro di questo
Governo, è stata comunque da tutti espressa l'esigenza che che il Laboratorio
produca quanto prima un documento articolato (a cui già alcuni del gruppo
"Diritti individuali" stanno lavorando, nella prospettiva anche di promuovere un
incontro pubblico di approfondimento di questi temi nei tempi più brevi
possibili) sul tema più generale dei diritti nel mondo del lavoro, per ampliare
l'orizzonte ai vari aspetti delle nuove forme di precariato e di flessibilità.
Vogliamo concludere questa lettera con un riferimento di carattere più generale:
consapevole del difficile quadro politico in cui si inserisce il dibattito
referendario, il Laboratorio per la democrazia, da movimento qual è, ha scelto
come ha sempre fatto, di privilegiare i contenuti, e in tal senso la sua
posizione non deve essere letta come una presa di posizione contro o a favore di
questo o quello schieramento politico. Crediamo che una tale lettura appartenga
a un vecchio modo di fare politica che anche questa volta non ci è appartenuto.
Cari saluti, Il comitato del Laboratorio
Affinità eversive
Massimo Marnetto 17-03-2003
"Sarà il popolo a
giudicarmi", ha dichiarato la brigatista rossa Lioci ai magistrati che la stanno
interrogando. La frase mi ha colpito, non per la sua drasticità, ma per
l'assonanza con quella che recentemente ebbe a dire B. disconoscendo eventuali
pronunciamenti della Magistratura. E' stupefacente osservare come la mancanza
del senso dello Stato produca affinità anche tra persone di estrazione sociale
così diversa.
Accanimento terapeutico
Solimano 14 febbraio 2003
Prendo lo
spunto dall'opinione di Massimo usando, come lui, una metafora medica. L'anemia
c'è, e non da oggi: tutte le iniziative organizzate dai partiti e dallo
PseudoUlivo dei partiti hanno avuto numeri stenti e motivazione scarsa, il che è
ancora più grave. Per cui, fare i donatori di sangue a chi soffre di anemia
cronica (e voluta) non serve a nulla. Lo PseudoUlivo è il solito zio innocuo che
si porta fuori quando piove, e si pretende di trasformarlo in ombrello. Non ci
credo più, allo PseudoUlivo. Avete visto la faccenduola di ieri? Nessuno avrebbe
dovuto dare nomi a Casini ed a Pera, perchè i tre nomi erano stati già dati. Ed
invece, e tra di noi lo possiamo dirlo tanto ci leggono in pochi (per il
momento), ed invece Fassino ha tirato il pacco Annunziata a Rutelli, esattamente
come qualche giorno prima Rutelli aveva tirato il pacco Mieli a Fassino.
Entrambi (più Bertinotti) hanno tirato i pacchi Mieli ed Annunziata a Cofferati
& C. Questa è la situazione, e chi si tiene informato lo sa. Quindi l'anemia
è cronica e pertinacemente voluta. Il punto vero è un altro: che possiamo fare
noi otto gatti, magari un po' svegli, ma otto? Due cose: 1. Darci da fare qui,
in casa nostra, nel nostro sito. Dire cose concrete, puntute e sensate, evitando
le sguaiataggini ed i predicozzi che si trovano altrove. Lo spazio c'è, basta
volerlo occupare: Opinioni, Cronache, Stile libero. Se non lo si fa, è inutile
che ce la prendiamo con l'universo mondo: ognuno si faccia il suo blog o giochi
a boccette. 2. Darci da fare localmente, nel proprio territorio, come stanno
facendo Deo, Bruno e Massimo, fra gli altri, e l'esperienza raccontarla qui. Non
credo a petizioni, riunioni, votazioni, tavoloni e tavolini: non faccio
polemiche, so che la mia opinione non è condivisa ed ognuno è libero di pensarla
come crede. L'ansia del fare ci porta ad occuparci di cose che non possiamo
modificare, mentre le cose su cui potremmo realmente agire non le facciamo,
perchè ci sembrano dettagli. Non lo sono! Saluti selvatici (e scusate il
predicozzo...) Solimano
Anemia
Massimo Marnetto 14-03-2003
La cosa più originale l'ha
detta Giulietti (articolo21): "Possono sopprimere la libertà di stampa, ma
quando scendiamo in piazza in milioni per l'art.18, per difendere la
Costituzione, la pace, diventiamo un'unica libera "emittente umana".
Non più
200 persone (29 per la Questura) alla manifestazione che i leader delll'Ulivo
hanno convocato ieri (13 marzo) al Pantheon, per protestare sulla mancanza di
libertà di stampa e in particolare contro l'infausta chiusura all' "ipotesi
Mieli".
Quando hanno parlato - tra gli altri - Fassino e Rutelli, hanno detto
cose non clamorose ma giuste, condivisibili ed anche con un tono insolitamente
fermo.
Ma allora perché tutto sapeva di scontato? Perchè l'applauso è stato
anemico? Perché eravamo così pochi?
Non è - a mio avviso - solo colpa
dell'endemica disorganizzazione dell'Ulivo (la notizia dell'iniziativa è stata
data dagli organizzatori quasi in sordina); credo che il motivo reale di questo
scarso appeal sia da ricercare nella mancanza di convinzione.
I partiti che
compongono l'Ulivo, all'Ulivo non ci credono e questa sfiducia i cittadini
l'avvertono perfettamente, nonostante le iniziative - pur lodevoli - che
periodicamente i leader organizzano. Tutto ciò mi ricorda un mio conoscente non
credente, che però costringeva il figlio ad andare al catechismo per prepararsi
alla prima comunione...
Allargare? Sì, ma bene.
Massimo Marnetto 10 - 03 - 2003
Nel
"famoso" Documento del Coordinamento Politico dell'Ulivo, le tappe sono serrate
fino all'Assemblea Nazionale del 13 aprile, dopodiché non c'è più fretta e si
ipotizza una Canvenzione Nazionale "a babbo morto", ovvero entro il 31 dicembre
2004 (sì, avete letto bene, 2004)
Sembra che l'incalzare delle date - 22
assemblea nazionale a Roma, 29 provinciale - sia davuto all'effetto
trascinamneto delle votazioni amministrative.
Come a dire: noi partiti della
coalizione siamo disposti ad aprire ai movimenti, ma adesso, perché poi avremo
da fare per la campagna elettorale.
Scusate, ma tutto ciò mi sembra non solo
sbrigativo, ma politicamente riduttivo. Tanto più che il 29 - e cioè ad una
setttimana esatta dall'assemblea nazionale dei Comitati del 22 - in ogni
Provincia si dovrebbe essere già nelle condizioni di votare i delegati - anche
delle associazioni e movimenti - da inviare all'Assemblea Nazioanle del
13.
E' semplicemente impraticabile.
Si vede perfettamente che chi ha
scritto quel Documento conosce bene i partiti, ma non la complessa galassia
della società civile, che non si coinvolge offrendo posti da delegato per un
Comitato Nazionale di là da venire, ma iniziando a lavorare insieme per
specifici obiettivi.
Insomma, ci vuole il tempo necessario(molto più di una
settimana!) a stabilire un reciproca fiducia e percorsi comuni.
Detto questo,
propongo che nelle assemblee provinciali del 29 non si votino i delegati, ma si
discutano le modalità di apertura alla società civile, provincia per
provincia.
E l'Assemlea nazionale del 13 aprile?
Semplice, si rimanda.
Anche perché non mi sembra un segno di "pari dignità" tra partiti e cittadini
quello offerto dal Coordinamento Politico di voler dettare tempi e modi come un
"fatto compiuto".
Aprire l'Ulivo nel modo più ampio è quanto da anni stiamo
facendo portando nei Comitati le persone in gamba che conosciamo. Solo così ci
siamo costruiti un'identità e credibilità, che ha resistito alle intemperie che
si sono abbattute sull'Ulivo.
Un eccesso di fretta potrebbe non solo non
ottenere l'effetto di coinvolgere altre associazioni, ma rischierebbe anche di
demotivare cittadini per l'Ulivo già attivi nei Comitati.
E questo sarebbe
veramente troppo.